Nel disinteresse quasi generalizzato dei media, l’Ecuador è in fiamme: uno sciopero generale nato su questioni specifiche si è generalizzato sulla questione sociale in generale ed è divenuto ad oltranza. Operai, contadini, indigeni, minatori, studenti, impiegati sono in piazza da giorni ad affrontare le forze antisommossa del governo – il tutto, lo ripetiamo, nel disinteresse quasi assoluto degli organi di informazione di massa che ignorano bellamente ad oggi (13 ottobre 2019) sette morti e settecento feriti, nonché un intero paese in rivolta.
Il paese è già da tempo, come d’altronde mezzo mondo, sotto le amorevoli cure delle ricette del Fondo Monetario Internazionale con le solite conseguenze: arricchimento smisurato di una minima parte della popolazione, impoverimento della stragrande maggioranza, proletarizzazione dei ceti medi, innalzamento di quel debito pubblico che, in teoria, la “cura” doveva diminuire ed in base al quale era stata imposta.
In generale il nuovo “paquetazo” imporrebbe, sulla linea dei precedenti, di eliminare qualche residuo di stato sociale, di ridurre salari e giorni di ferie, il tutto per rendere “competitivo” il paese sui mercati. Nel “paquetazo” era poi compreso un forte aumento del prezzo dei carburanti e, difatti, i primi ad entrare in sciopero sono stati i lavoratori dei trasporti e dei tassisti, anche se ovviamente la misura colpisce l’intera popolazione. A seguirli subito dopo sono state le comunità indigene in lotta contro le politiche economiche che hanno depredato e degradato i loro territori, poi praticamente il resto del mondo del lavoro ecuadoregno.
È stata organizzata dalle comunità indigene ma presto si sono aggregate un po’ tutte le altre realtà sociali una marcia su Quito. La risposta del governo di Lenin Moreno è stata drastica e, bisogna ammetterlo, particolare: non solo ha emesso l’ordinanza dello stato di emergenza con annessi e connessi ma, di fronte all’arrivo dei manifestanti alla capitale Quito… l’ha letteralmente spostata in un’altra città, Guayaquil, una sorta di suo feudo personale dove si sente molto più al sicuro. A Quito i militari avevano dovuto caricare anche la stessa polizia che simpatizzava con i manifestanti…
Nel frattempo sono iniziate le violenze contro la popolazione che, ripetiamo, al momento in cui scriviamo hanno già fatto un numero impressionante di morti e di feriti, in nome della libertà e della “sicurezza” ovviamente. Anzi no – perché a Lenin Moreno tutto gli si può negare ma non la fantasia – questa volta il popolo viene trucidato anche in nome della difesa dell’ambiente e della lotta al “cambiamento climatico” (sic). Detto ripetutamente sui media dal nostro e dal codazzo di militari che lo segue.
La rivolta si è andata organizzando con le solite e benemerite dinamiche solidaristiche, dalle cucine collettive al soccorso medico ed al momento è tuttora in corso. Con le nostre forze ve ne daremo conto, anche perché il popolo ecuadoregno sta mostrando un coraggio ed un’intelligenza che dovrebbe esserci anche da queste parti.
Redazione